Uno dei più grandi obiettivi perseguiti dalla scienza è quello di continuare a perfezionare la nostra visione del mondo, arrivando sempre più vicini alla verità profonda dei fenomeni che governano l’universo. Maggiore è tale comprensione, maggiore sarà la nostra capacità di prevedere i cambiamenti che avvengono ogni giorno in qualsivoglia ambito, di adattarci ad essi o di modificare la condizione in cui verremo a trovarci.
Negare la teoria dell’evoluzione è l’ennesimo passo indietro che molte persone, a volte intere comunità, si trovano a campiere in questi tempi travagliati, in cui l’informazione è tanta, ma in cui ognuno attinge dalle fonti che vuole.
Richard Dawkins, con la sua divulgazione attenta e di facile comprensione, fornisce una base solidissima per chi si trova a doversi confrontare con pensieri anti o pseudoscientifici di questa entità. L’autore si muove agilmente da una branca delle scienze biologiche all’altra (biologia molecolare, paleontologia, anatomia comparata ecc.) per dimostrare che il termine “teoria” della teoria dell’evoluzione non è da intendersi come un parere strampalato di un qualche scienziato morto più di un secolo fa, ma una verità incontrovertibile per chi possiede un briciolo di ragione, apertura mentale e coerenza.
Alessandro Frassineti
È solo nel 2011 che vengono fornite le prime possibili prove empiriche della carnivora del cardo dei lanaioli. Uno studio londinese ha confrontato lo sviluppo in due popolazioni di ognuna divisa in tre gruppi: uno nutrito con insetti, uno in cui organismi accumulati venivano continuamente rimossi e uno di controllo. L’esperimento ha riscontrato nel primo caso un aumento del 30% nella produzione e dimensione dei semi. Non sono stati osservati però effetti sulla biomassa, e curiosamente forando il fondo delle foglie per impedire la raccolta di acqua non sembra aver impattato alcun parametro.
Un successivo studio del 2019 invece non trova nessuna variazione di crescita o riproduzione per merito della nutrizione, e identifica i nutrienti presenti nel suolo come unica variabile in grado di influenzare lo sviluppo. Gli autori, infatti, evidenziano le fondamentali differenze tra (una pianta bienne) e le altre piante carnivore (perenni). Ammettono però che una differenza nei risultati tra i due studi potrebbe essere dovuta al microbioma presente nell’acqua raccolta (fitotelma), dato che quello presente in Kentucky (dove è stato svolto l’esperimento) è diverso da quello nativo in Gran Bretagna, con cui la pianta potrebbe sviluppare rapporti mutualistici.
Uno studio francese del 2023 si concentra sui filamenti protrudenti dei tricomi ghiandolosi studiati da Darwin. Viene osservato come il microbiota, in alta percentuale composto da batteri azotofissatori, si concentri attorno alle teste secretorie delle ghiandole, le quali creano una nicchia che facilita l’attività batterica. I ricercatori invitano quindi ulteriori studi per verificare se c’è effettivamente un nesso tra i filamenti e un’eventuale capacità di assorbimento di azoto.
Senza risposte definitive la questione rimane ancora aperta, e di sicuro ci saranno interessanti risvolti futuri. Nel frattempo, è decisamente affascinante come un’ipotesi fatta ben 150 anni fa da Francis Darwin stimoli ancora il dibattito e la ricerca scientifica, facendoci anche capire come siano molti gli aspetti delle piante che ancora oggi non comprendiamo.
Mirco Gruppi